Il 14 giugno 1981 il popolo e i cantoni decidono di iscrivere il principio dell’uguaglianza dei diritti tra donna e uomo nella Costituzione federale. Per questo, la giornata è dedicata alla riflessione sul tema della parità tra i sessi.

Ancora oggi la parità salariale è lungi dall’essere raggiunta. Infatti in Ticino negli ultimi anni è in costante calo la differenza salariale spiegata tra uomo e donna, cioè dovuta a fattori oggettivi, come il livello di formazione o di carriera, ma rimane costante invece la disparità salariale non spiegata, che è frutto cioè di pura discriminazione. Addirittura l’ultima rilevazione dei salari mostra che nel 2022 la disparità salariale misurata nel settore privato in Ticino (13%, 706 CHF) era interamente non spiegata, dovuta cioè ad un atteggiamento discriminatorio. «Ci pagano meno perché siamo donne». Tutto ciò è veramente inaccettabile.
Questo è uno dei tanti segnali che dimostra che la legge sulla parità non ha nessuna efficacia ed è necessario procedere a una revisione. La legge prevede infatti che le aziende sopra i 100 dipendenti effettuino un controllo statistico della discriminazione salariale con uno strumento che dovrebbe evidenziare proprio la presenza della discriminazione, cioè la disparità non spiegata. La legge accetta una discriminazione del 5% e non prevede alcun tipo di sanzione. Perché? Perché il diritto svizzero prevede sanzioni per ogni altro tipo di discriminazione, ma non per quella salariale? Quale altro interesse può essere preponderante rispetto a quello delle donne, che sono più della metà della popolazione?
Notiamo poi un altro aspetto, le donne fanno molta meno carriera degli uomini e, quando finalmente riescono ad accedere a posti di responsabilità è proprio in quei ruoli che sono maggiormente discriminate.
Uno degli elementi che porta a questo stato di cose è la bassa considerazione di cui gode il lavoro di cura. Tutto quanto avviene nelle famiglie è considerato un fatto privato e non viene affatto preso in considerazione in ambito professionale, anche se ha un valore economico, oltre che umano, immenso. Tutte le competenze che le persone acquisiscono esercitando la cura nell’ambito familiare non vengono valorizzate sul lavoro. 
Le donne da sempre sono penalizzate perché l’impegno intenso all’interno delle famiglie impedisce loro di lavorare a tempo pieno. Chi lavora a tempo parziale non ha accesso alla formazione continua e alle possibilità di carriera. Ora questo accade anche agli uomini che desiderano assumersi una parte dei compiti di cura e lavorare a tempo parziale e questo rallenta un cambiamento verso una più equa distribuzione dei compiti nelle famiglie. 
Ed è per questo che OCST donna-lavoro ha deciso di lanciare una serie di iniziative cui sarà dato avvio proprio il 14 giugno, per sensibilizzare le aziende e le persone sulla necessità di non penalizzare le lavoratrici e i lavoratori che decidono di lavorare a tempo parziale in particolare a livello salariale e nell’ambito della formazione continua. Il 14 giugno riceverete informazioni via email e sui nostri canali social. 
State dunque all’erta! Facciamo sentire la nostra voce!

Davina Fitas