Tutto tace al momento sul fronte della famigerata «tassa sulla salute». Ricordiamo infatti che, nella manovra finanziaria varata lo scorso anno, il Governo aveva deciso per l’introduzione di un contributo di compartecipazione al servizio sanitario nazionale da far pagare a quei frontalieri dei Comuni di confine che erano già tali tra il 31 dicembre 2018 e il 17 luglio 2023 (ovvero ai cosiddetti «vecchi frontalieri»). 

Tale imposta, sempre in base alla legge finanziaria, dovrebbe attestarsi tra il 3% e il 6% del reddito netto annuo, con importo minimo di 30 € mensili e importo massimo di 200 € mensili. 

Le Regioni di confine, su tutte Lombardia e Piemonte, sono poi state demandate dal Governo di decidere i dettagli economici e operativi per l’incasso di questo contributo. Ad oggi, tuttavia, le Regioni non hanno ancora emesso alcuna direttiva in merito. 
Come noto, infatti, i sindacati italiani e svizzeri si erano fin da subito mobilitati con ogni forza per opporsi a questo provvedimento che riteniamo iniquo, ingiustificato, intempestivo e, verosimilmente, illegittimo. 
Iniquo perché basato sul presupposto sbagliato: i frontalieri sono contribuenti indiretti nazionali attraverso i ristorni fiscali pari al 40% di quanto versato alla fonte in Svizzera.
Ingiustificato perché in contraddizione con quanto lo stesso Ministero della Salute ha sempre sostenuto (e ribadito con apposita circolare agli assessorati regionali alla sanità del 8 marzo 2016).
Intempestivo e di dubbia legittimità, perché in aperto contrasto con i contenuti del neonato nuovo Accordo sulla tassazione dei frontalieri tra Italia e Svizzera, il quale prevede che sia solo la Confederazione ad avere il diritto di tassare i «vecchi frontalieri».
Il sindacato era persino sceso in piazza a manifestare, forte anche degli esiti di un parere legale commissionato a un pool di avvocati che sembra confermare le nostre tesi di cui sopra. 
Per altro la norma è anche di complessa applicazione. Ad oggi, infatti, le Regioni non dispongono degli elenchi dei «vecchi frontalieri», ne è previsto da alcun patto bilaterale che la Svizzera debba trasmettere questi nominativi in futuro.
Le Regioni si trovano quindi tra l’incudine e il martello. Da una parte non possono andare contro una legge nazionale varata dal Governo, dall’altra sanno che tale norma è tutt’altro che basata su fondamenta legali solide, oltre al malcontento generale che si genererebbe applicandola e che il sindacato ha già manifestato.
Non lasciamoci quindi ingannare da questo silenzio apparente e restiamo vigili.
Seguiranno aggiornamenti.

Andrea Puglia