C’è molta carne al fuoco nelle trattative in corso tra Svizzera ed Unione europea per la firma dell’accordo quadro istituzionale che, oltre ad altri ambiti, tratterà anche della libera circolazione delle persone. Attorno a questo nodo principale ne ruotano altri che ne vengono comunque influenzati. Ad esempio quello del riconoscimento del regolamento della Borsa svizzera, che è stato prolungato per un solo anno fino alla fine del 2018.
La questione della libera circolazione delle persone è complessa, riguarda il mercato del lavoro, ma anche, per esempio, le direttive sulla cittadinanza europea sulle quali il Consiglio federale ha dichiarato di non voler discutere.
Durante l’estate, dopo aver per molto tempo sostenuto il contrario, una parte del Consiglio federale si è invece detta disponibile a indebolire alcune misure di accompagnamento alla libera circolazione, tanto da avviare una trattativa con le parti sociali. I sindacati ritengono queste misure troppo importanti e per questo hanno deciso di abbandonare la discussione. L’OCST sostiene la posizione di Travail.Suisse, del quale fa parte: le misure di accompagnamento non devono essere messe in discussione e la Svizzera deve poter regolare in maniera indipendente la protezione dei salari e delle condizioni di lavoro.
C’è tanta carne al fuoco, l’ho detto, nelle discussioni con l’Unione europea, ma che debba essere proprio il mercato del lavoro ad essere sacrificato è poco comprensibile. Tanto più che in questi anni, e sono i numeri a dirlo, il mercato del lavoro dei cantoni di frontiera, e specialmente del nostro, ha sofferto nonostante l’applicazione delle misure di accompagnamento. Senza contare i danni alle piccole e medie imprese, specialmente quelle artigianali, che hanno subito una concorrenza serrata dall’estero. I salari sono sotto pressione, l’occupazione è aumentata e la disoccupazione reale non è calata di pari passo. Il numero di beneficiari dell’assistenza raggiunge livelli allarmanti.
L’OCST continuerà a ribadirlo: le lavoratrici e i lavoratori non possono essere sacrificati sull’altare di questioni ritenute più urgenti. È pericoloso farlo per un paese come la Svizzera che confina con stati molto più grandi, che hanno un tasso di disoccupazione molto più alto e salari più bassi.
La trattativa della Svizzera con l’Unione europea, che mostra le sue debolezze e le sue contraddizioni, è segnata dalla crisi politica, dalla trattativa con la Gran Bretagna, dalle prossime elezioni sia in Europa che in Svizzera. Affrettarsi ad allentare la protezione del nostro mercato del lavoro significa ferire il motore economico e sociale del nostro Paese.
Per fortuna, giungono notizie positive sul fronte dell’andamento economico. In molti settori sono stati annunciati risultati più che incoraggianti. L’OCST chiede che di questi risultati siano resi partecipi anche le lavoratrici ed i lavoratori, in termini di aumenti salariali, migliori condizioni di lavoro, migliore accesso alla formazione.
D’altro canto, qualche azienda ticinesi manifesta la difficoltà a far fronte al pagamento di salari, pur bassissimi. Altre giudicano gli aumenti salariali in discussione nelle trattative nazionali insostenibili alle nostre latitudini.
A queste aziende non possiamo non ricordare come sia necessario investire sulla qualità del prodotto, sulla formazione, sulle strutture. Non è giusto chiedere che i dipendenti contribuiscano a far quadrare i conti dell’azienda, rinunciando ad un salario che sia sufficiente a far fronte alle proprie esigenze vitali.
 
Renato Ricciardi