Ho il sospetto, sorto sabato mattina, che sia necessario spiegare cosa ci sta a fare al mondo un sindacato. Posso raccontarlo perché lavoro per un’istituzione che da oltre cento anni è finanziata da coloro che difende, cioè dai suoi associati. Non dallo Stato, dalla politica o da altre fonti più o meno lecite.

C’è qualche decina di migliaia di lavoratrici e lavoratori che ogni anno decide che vale la pena di spendere un po’ di denaro per aderire all’OCST. Togliamo quindi dal campo il mito che il sindacato si nutra di soldi pubblici. Molti sindacati svolgono servizi pubblici per i quali ricevono una retribuzione commisurata alle spese legate al servizio svolto. Tra questi, la cassa disoccupazione.
I soldi ricevuti in questo ambito sono quelli necessari a coprire i salari degli impiegati e i costi degli strumenti. Lavoro per il quale gli operatori delle casse (posso testimoniare in particolare della nostra perché vedo da vicino quello che accade) non si risparmiano certo. E in particolare non si sono risparmiati durante questo periodo di pandemia nel quale la mole di lavoro è decuplicata e si sono fatti i salti mortali all’indietro per far giungere i pagamenti in tempo in modo da dare un sostegno concreto alle famiglie, ma anche alle aziende in difficoltà.
Peraltro questo esercizio è riuscito e di questo vado orgoglioso.
C’è poi l’annosa questione delle commissioni paritetiche, dipinte come la pentola d’oro dalla quale, come è noto, scaturisce l’arcobaleno. La commissione paritetica è una commissione alla quale partecipano in modo paritetico i sindacati e i datori di lavoro. Lì confluiscono le quote versate dalle lavoratrici e dai lavoratori del settore che scelgono di non aderire ai sindacati contraenti in un fondo che viene gestito per iniziative in favore di coloro che sono sottoposti al contratto. L’uso che si fa di quel denaro è quindi di competenza della commissione.
Un altro mito da sfatare: le sindacaliste e i sindacalisti fanno tutti politica. Qualcuno c’è, ed è necessario perché è giusto che anche le associate e gli associati dei sindacati, una fetta consistente dei votanti del nostro Paese, siano rappresentati. Ma sia i sindacalisti impegnati in politica che tutti gli altri sono ogni giorno sui luoghi di lavoro.
Come vediamo ogni giorno, questo lavoro è necessario. Ha portato nel corso degli anni all’introduzione, prima nei contratti, e poi nelle leggi, di molti diritti, tra i quali quello di non lavorare la domenica, di fare alcune settimane di vacanza all’anno, per le mamme di stare a casa dal lavoro protette dal licenziamento per ben quattordici settimane dopo il parto, e per i papà ben dieci giorni dal lieto evento. Tutti elementi, per chi ancora riconosce la democrazia come un valore, accettati in fase di contrattazione prima e, in seguito, fortemente voluti dalla popolazione.
Un ultimo aspetto. Con buona pace di chi è contrario, per motivi di oltranzismo purista o di comodo, la legge sul salario minimo non è una legge dei sindacati. È una legge votata dal popolo, quindi è una legge del popolo e già solo per questo andrebbe rispettata.
E, detto fra noi, questa legge non sarebbe stata necessaria e sentita necessaria da chi ha votato, se non ci fossero troppi datori di lavoro nel nostro Cantone che si mostrano chiusi a qualsiasi richiesta sindacale di discussione, con la pretesa che ai diritti delle lavoratrici e dei lavoratori ci pensano già loro. Fin troppo.
Il mio lavoro mi appassiona perché prende la parte di chi lavora: la parte più debole.

Renato Ricciardi