Il sindacato è ancora attuale, cioè utile, per la società in cui viviamo? Prima ancora della società, siamo noi stessi a rilanciare questo interrogativo al nostro interno, affinché la nostra azione sociale possa essere di continuo rinnovata criticamente e condivisa con chi ci sostiene. Quali sono dunque i principi su cui si basa oggi la presenza del sindacato cristiano-sociale in Svizzera?

Il primo cardine, che è il leitmotiv della nostra storia centenaria, è la solidarietà verso i lavoratori che si declina in varie forme: ogni anno garantiamo servizi di tutela giuridica di qualità e di formazione continua, forniamo la presenza fisica dei nostri sindacalisti sui luoghi di lavoro di ogni settore professionale, costituiamo comitati di delegati e fiduciari sindacali per camminare con loro, senza calare dall’alto la nostra visione sui temi specifici, ma appunto costruendola con essi. Le politiche di sostegno al lavoro devono essere pensate «con loro» non «per loro». Si tratta di un metodo di lavoro che rende il sindacato un luogo di partecipazione attiva, incontrabile ed inclusivo, in linea con l’appello lanciato dal Papa al termine dell’evento «The Economy of Francesco». In questo modo combattiamo il male più grande di cui soffre oggi la nostra società, ovvero l’individualismo sfrenato, che porta le persone ad allontanarsi e a cercare per ogni problema soluzioni individuali e pertanto deboli.
La pandemia ha esasperato ulteriormente questa deriva inserendo nei rapporti interpersonali distacco e perfino paura. Eppure, proprio nei mesi più acuti dell’emergenza, il nostro sindacato si è esaltato in tutta la portata del proprio ruolo. Abbiamo garantito l’apertura fisica degli sportelli (nel pieno rispetto delle norme sanitarie) convinti che le persone avessero bisogno non solo di risposte e di «pratiche» ma di un volto che le accogliesse.
Secondo il principio di sussidiarietà, durante la pandemia siamo stati coinvolti dalle istituzioni cantonali e federali in un dialogo costruttivo con le parti sociali per regolamentare i lockdown, il rafforzamento delle politiche di welfare (quale l’orario ridotto), le misure sanitarie sui luoghi di lavoro, le soluzioni per garantire la viabilità transfrontaliera lungo le dogane.
Da qui emerge l’altra parola-chiave del nostro metodo d’azione (ancora più attuale oggi): il dialogo. Ancora una volta, nel concreto questo significa prediligere come obiettivo primario della strategia sindacale la sottoscrizione dei Contratti collettivi di lavoro. Parlo di una contrattazione collettiva non solo intensa, ma anche «moderna». Negli ultimi anni non ci siamo accontentati di discutere solo i salari per difendere il reddito delle famiglie (che restano comunque un oggetto fondamentale di trattativa), ma abbiamo allargato la discussione a temi nuovi, di estrema attualità, quali la regolamentazione del telelavoro (da un profilo legale ma anche organizzativo e sociale), le politiche a sostegno del lavoro femminile, le misure legate al work-life balance, la formazione professionale dei giovani in azienda, la responsabilità sociale dell’impresa a livello ecologico e altro ancora.
Tutto, lo ribadisco, viene sempre fatto partendo dall’ascoltare la voce degli associati. Questo significa per noi mettere la persona al centro e riaffermare così il senso stesso del lavoro. Chiudo con una citazione di Fausto Bertinotti, intervenuto recentemente a un corso di formazione sulla Laborem Exercens promosso dal Circolo culturale Ettore Calvi: «Io penso che oggi ci sarebbe bisogno di più sindacato, tanto più grande è la solitudine del lavoratore, per molte ragioni anche culturali, non solo economiche ma anche culturali. Tanto maggiore è la necessità di far fronte con la costruzione di rapporti di relazione sociale egualitari e comunitari, che non solo costituiscono forma di autogestione e di autogoverno, ma che anche incidano sulla organizzazione complessiva del processo di lavoro. E adesso, dell’organizzazione della vita».

da «il Dialogo» n. 1 del 2022   www.acli.ch/

Renato Ricciardi