Mercoledì 21 maggio 2025, numerose e numerosi docenti provenienti dai diversi ordini di scuola si sono ritrovati in Piazza Governo a Bellinzona per discutere del momento difficile che la scuola ticinese sta attraversando.

La scintilla che ha convinto tante e tanti a trovarsi per parlare di scuola pubblicamente sono forse le vicende emerse negli ultimi mesi, testimonianze eloquenti di un sistema di abilitazione e assunzione sempre più confuso, inefficiente e iniquo, che mortifica le competenze e penalizza le nuove generazioni, spingendole verso un’inaccettabile precarietà.
Ma il malumore e lo smarrimento che si respirano nei corridoi delle scuole, dal Mendrisiotto al Gottardo, hanno radici più profonde, che affondano nello scarto tra una politica finanziaria che impoverisce le scuole e un’emergenza educativa di fronte alla quale i docenti, dalla scuola dell’infanzia al settore medio superiore, si sentono soli, isolati e privi dei supporti concreti che le contingenze invece imporrebbero. Per chi la scuola la vive ogni giorno è impossibile non notare che stiamo attraversando un’emergenza educativa e sociale: gli allievi e le allieve sono sempre più fragili, ansiosi e disorientati; le famiglie sono sempre più in difficoltà, gravate da compiti educativi oggettivamente più difficili; la società è toccata da vicino da una crisi del sistema economico e del mondo del lavoro che accresce le disuguaglianze tra ricchi e poveri.
In questo contesto mutato straordinariamente in peggio, la politica finanziaria del Cantone non consente di dotare la scuola dei mezzi necessari per adempiere adeguatamente alla propria missione. I docenti riuniti in piazza non biasimano solo i tagli approvati negli ultimi preventivi, ma il progressivo impoverimento del sistema scolastico: le risorse si riducono, le classi si affollano, le condizioni di insegnamento peggiorano e l’evoluzione demografica lascia presagire ulteriori criticità.
Gli stessi docenti lamentano pure stipendi che perdono valore, responsabilità crescenti e un carico burocratico soffocante che sottrae tempo ed energia alla didattica.
La scuola pubblica ha finora retto grazie al lavoro encomiabile dei docenti, delle direzioni, del personale non docente: il livello formativo che attualmente la nostra scuola riesce ancora a offrire, così come le possibilità di mobilità sociale che essa apre, sono ancora di buon livello. Ma per quanto ancora? Non si può continuare a ignorare l’emergenza educativa; non si può perseverare nel ridurre l’attrattività della professione (diminuendo il potere d’acquisto del personale pubblico, per esempio; o riducendo il docente al ruolo di esecutore); non si può continuare a ridimensionare le risorse (si pensi ai tagli nel finanziamento delle attività culturali dei singoli istituti o alla riduzione dei tempi di apertura di alcune biblioteche); non si può continuare a far funzionare le scuole con direzioni che hanno lo stesso organico di trent’anni fa.
Bisogna investire. Investire, non spendere, perché la scuola come istituzione contribuisce a creare coesione sociale e a determinare le condizioni per un riscatto del Cantone sul piano economico e sociale, oltre che a favorirne la crescita morale e culturale.
I docenti e le docenti riuniti lo scorso mercoledì 21 maggio in piazza chiedono dunque:
- l’aumento delle risorse finanziarie per la scuola e la revoca dei tagli approvati negli ultimi due preventivi;
- una riforma seria e condivisa del sistema di abilitazione, che valorizzi chi vive quotidianamente la scuola e garantisca stabilità, qualità, equità e trasparenza;
- risposte adeguate alla crescente precarizzazione del lavoro nella scuola;
- risorse necessarie per affrontare la complessità educativa del nostro tempo.
Serve, in fin dei conti, una svolta che restituisca dignità e futuro a chi lavora nella scuola.
La scuola non può e non deve essere lasciata sola. Perché la scuola siamo tutte e tutti noi. Perché scuola e società vanno a braccetto.