È con questo verso di Charles Baudelaire che il Consigliere di Stato De Rosa ha voluto concludere il suo saluto all’incontro promosso dalla Commissione paritetica degli istituti ospedalieri privati del Canton Ticino «Dedicato a voi», al personale sociosanitario che ha affrontato e si è impegnato in modo decisivo nelle varie fasi della pandemia da Covid19.

«I 10’000 operatori del settore hanno garantito un approccio collaborativo fra tutti gli enti. Con flessibilità, competenza, dedizione e coraggio hanno garantito la migliore assistenza possibile».
Carlo Calanchini, psichiatra e psicoterapeuta ha tenuto un’interessante dissertazione sul tema «Virus e fantasmi». La presenza di un virus suscita fantasmi, fantasie fin dai tempi dell’assedio Assiro alla città di Gerusalemme. La scienza e l’informazione scientifica richiedono tempo. Molto più facile evocare un fantasma, una spiegazione fantasiosa che deforma la realtà e alimenta il proprio narcisismo, perché permette di mostrarsi come più informati degli altri. La pandemia non è una guerra, ha un’origine ben chiara in un agente patogeno. «La guerra invece è un atto deliberato e provocato da animali razionali» che compiono le brutalità così ben descritte da don Francisco Goya nelle sue incisioni «I disastri della guerra».
Giorgio Merlani, medico cantonale, ha raccontato le prime fasi della pandemia in Ticino. Non si sa esattamente quando sia giunta l’epidemia nel nostro cantone, ma nemmeno quando sia iniziata in Cina. Questo è abbastanza chiaro dai ritmi di diffusione del virus: dal primo paziente isolato, nelle settimane seguenti la crescita è stata esponenziale. Nella prima fase ci sono state difficoltà di comunicazione con la Confederazione probabilmente perché inizialmente si è attribuito l’aggravarsi della situazione ad una presunta incapacità prima italiana e poi ticinese di gestire la situazione. Esisteva un piano pandemico, ma, come si è appreso in seguito, non è detto che sistemi applicati con successo per un caso, possano essere efficaci anche per altri. Per esempio ciò che ha reso questo virus più difficile da controllare rispetto ai precedenti era la possibilità di essere trasmesso anche dalle persone asintomatiche.
Fin da subito è stato creato un Gruppo di coordinamento corona. All’inizio il gruppo era composto solo di esperti sanitari. Ben presto si è passati alla costituzione dello Stato generale di condotta che aveva invece un’impronta militare. Nelle prime settimane si è assestato l’organigramma in modo che fosse adatto a gestire questa crisi. La struttura è poi stata efficace e in grado di affrontare la sfida. È un organo con un’importante capacità operativa: il lavoro in comune ha garantito la sicurezza, la gestione degli accessi alle strutture sanitarie e gli approvvigionamenti scaricando in questo il personale sanitario. La pandemia non è solo una crisi sanitaria. In tutte le fasi della crisi è stato essenziale comunicare in modo puntuale alla popolazione: l’informazione è l’unico mezzo per evitare il panico.
Sono poi seguite le commuoventi testimonianze degli operatori sanitari e di un paziente. È stato per esempio rievocato lo sguardo di quella persona che prima di essere intubata chiamava la moglie che si stava recando al funerale di suo padre. La paura di trasmettere la malattia ai familiari, che ha condotto numerosi operatori ad allontanarsi da casa. Il dolore dei pazienti che non riuscivano più a salutare i parenti a casa e dei familiari che non potevano avere contatti diretti con i cari ricoverati. I pazienti che non riuscivano neanche a riconoscere gli operatori che entravano nelle stanze mascherati dalle misure di protezione necessarie. Il dolore di sapere degli amici gravemente malati e non poter fare niente.
Tuttavia, come hanno testimoniato in molti, alla paura è seguita una reazione positiva: un lavoro di team nel quale tutti mettevano a disposizione le proprie competenze. Un esperienza arricchente che ha permesso ad alcuni di «ricordare quei momenti tragici con piacere perché mi hanno fatto crescere personalmente e professionalmente». È emerso poi un appello: a che questa unità non svanisca e perché ci si impegni per matenere le infermiere e gli infermieri sul posto di lavoro. «Non facciamoli scappare!»
Le studentesse presenti hanno raccontato che l’esperienza di essere catapultati in un momento così difficile nelle strutture ha reso più salda la decisione di lavorare nel settore sociosanitario.
Anche il personale delle pulizie e delle cucine è stato ringraziato. «Pur non avendo un bagaglio di formazione e preparazione che abbiamo noi, hanno portato avanti il loro importantissimo compito con dedizione».