L’età anagrafica è considerata quella degli anni effettivi che si hanno, mentre l’età biologica è quella che ci dice la condizione funzionale dell’individuo.
Dunque, c’è una differenza importante tra il concetto di età inteso come anni passati cronologicamente e il concetto di età inteso come stato di salute generale e funzionalità residua della persona. La velocità dell’attuarsi degli effetti negativi dell’invecchiamento, esprime effettivamente l’età biologica di una persona.
L’età anagrafica è fuori dal nostro controllo, mentre l’età biologica può essere gestita e dipende da diversi fattori «ambientali»: dallo stile di vita che si adotta, da una sana e bilanciata alimentazione, dallo sport ed esercizio fisico che si riesce a praticare con una certa regolarità, da un buono stato emotivo generale, da quanto si è in grado di gestire lo stress, dalle abitudini del sonno, dalla presenza o meno di fumo, alcolici, etc.
La longevità inoltre, è il risultato oltre che di fattori «ambientali» anche di fattori «genetici».
La differenza tra età anagrafica ed età biologica delle persone è stata studiata in una ricerca effettuata in varie nazioni del mondo e pubblicata sulla importante rivista internazionale The Lancet (vedere sotto).
L’analisi ha rivelato un divario fino a trent’anni tra le 20 nazioni in cui le persone portano meglio gli anni e le nazioni nelle quali le persone li portano peggio: un settantaseienne giapponese presenta lo stesso livello di problemi di salute «tipici» di un sessantacinquenne; e questo traguardo è invece raggiunto ad appena 46 anni da un abitante della Papua Nuova Guinea.
Il primo autore dello studio, la dottoressa Angela Y. Chang, dell’Institute for Health Metrics and Evaluation, Seattle, USA, dichiara che «L’aumento dell’aspettativa di vita può rappresentare sia un’opportunità, che una minaccia per il welfare complessivo delle popolazioni, a seconda dei problemi di salute correlati all’età che le persone sviluppano, indipendentemente dall’età anagrafica. Le patologie correlate all’età possono portare infatti al pensionamento anticipato, ad una contrazione della forza lavoro e ad un aumento della spesa sanitaria. L’autorità governativa e gli altri stakeholder (soggetti direttamente interessati) implicati nei sistemi sanitari, devono sapere a quale età le persone cominciano a risentire degli effetti negativi dell’invecchiamento».
In questo studio sono stati analizzati gli effetti negativi correlati all’età, considerati l’alterazione di una serie di funzioni biologiche e la perdita delle abilità fisiche, mentali e cognitive, risultanti da una serie di 92 condizioni o malattie legate all’età. Queste sono state divise in categorie di malattia più ampie: malattie cardiovascolari, malattie respiratorie croniche, malattie trasmissibili, materne, neonatali e nutrizionali, diabete e malattie renali, malattie digestive, lesioni, neoplasie, disordini neurologici, altre malattie non trasmissibili, malattie degli organi di senso e malattie cutanee e sottocutanee.
Tenendo sotto controllo la nostra età biologica in generale con un buono stile di vita, è dunque possibile rallentare il processo di invecchiamento e in molti casi anche prevenire diverse patologie.
Maria Giuditta Valorani, PHD