Un ampio ventaglio di organizzazioni e associazioni ticinesi si sono unite nel Comitato “La domenica non si vende” a sostegno del Referendum contro le modifiche alla Legge sulle aperture dei negozi.
Si tratta di sindacati, partiti politici, organizzazioni femminili e movimenti per la protezione dell’ambiente che si oppongono ad un ulteriore ampliamento degli orari di apertura dei negozi, dopo l’entrata in vigore nel 2020 delle modifiche introdotte nel 2015.
I motivi per opporsi alle modifiche approvate dalla maggioranza del Gran Consiglio sono tanti e l’ampia adesione al comitato ne dimostra la validità.
La decisione del Parlamento è stata presa con grande fretta senza nessuna valutazione degli effetti concreti che la legge attualmente in vigore e le discusse modifiche avrebbero avuto sul personale e senza alcuna ponderazione della reale necessità di intervenire nuovamente sulle regole del gioco a soli due anni dall’introduzione di notevoli modifiche e ampliamenti. La decisione di un’ulteriore liberalizzazione è stata presa tendendo in considerazione esclusivamente i desideri dei grandi commerci e non le esigenze del personale impiegato nel ramo, di cui le organizzazioni sindacali si sono fatte portavoce.
I sindacati che hanno promosso la raccolta delle firme sono in particolare preoccupati degli effetti che queste modifiche avrebbero sui lavoratori e sulle lavoratrici. Quanto il Parlamento ha proposto infatti non è un intervento banale e limitato, ma un ampliamento che apre la strada all’apertura generalizzata anche per la grande distribuzione tutte le domeniche e tutti i giorni fino alle 22.30.
Che questa decisione, che richiama la famosa tattica del salame, sia benefica per aumentare il giro di affari del commercio e quindi i posti di lavoro è solo nelle dichiarazioni retoriche dei promotori delle modifiche. È ora di dire la verità: non sono le chiusure domenicali che favoriscono il turismo degli acquisti all’estero, quanto i prezzi e il potere d’acquisto dei residenti in Ticino. È noto infatti che i salari in Svizzera sono del 23% superiori rispetto a quelli ticinesi e questo non favorisce certo chi deve comperare i beni di prima necessità, ma non solo, in negozi i cui prezzi sono stabiliti a livello nazionale.
Peraltro studi effettuati nella vicina Italia, che da anni ha applicato la liberalizzazione di orari e giorni di apertura, non sono confortanti. Si segnala infatti che il giro d’affari rimane costante, ma che gran parte del fatturato si concentra durante il weekend. La liberalizzazione poi penalizza i piccoli commerci che hanno meno personale e risorse a disposizione per garantire una disponibilità così ampia.
I membri del Comitato “La domenica non si vende” ritengono inoltre che la domenica sia un giorno da dedicare ad altro: famiglia, spiritualità, cultura, riposo, svago, sport. La società, le persone, le famiglie hanno bisogno di una giornata in cui ci si distanzi dalle normali logiche commerciali per dedicarsi a quanto di più importante c’è nella vita. Un tale ampliamento degli orari di apertura apre la strada ad un indebolimento inaccettabile del divieto di lavoro domenicale.
Se oggi crollerà la tutela del riposo domenicale nel commercio, prima o poi crollerà in tutti gli altri settori professionali, verso una società dove riposare e passare il tempo con la propria famiglia non sarà più un diritto, ma un lusso che solo pochi privilegiati potranno esercitare.
Per questo il Comitato “La domenica non si vende”, in occasione del Referendum del 18 giugno, sostiene il “NO” alle Modifiche alla Legge sulle aperture dei negozi.
Il Comitato è costituito da:
Unia, OCST, SEV, SIC, SISA, SIT, SSM, Syndicom, USS, VPOD, Partito socialista, Forum alternativo, Partito comunista, Partito operaio e popolare, Verdi, MPS, Giovani verdi, Gioventù comunista, GISO, Coordinamento donne della sinistra, Collettivo scintilla, Movimento AvaEva, Sciopero per il clima
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