Tre quadri in tre momenti diversi, inaspettati, che la scuola dell’obbligo si è trovata recentemente ad attraversare.

Il primo: «Sore le mando il mio numero di cellulare in caso non funzionano Moodle e Teams». È trascorsa una settimana dalla chiusura degli edifici scolastici e ricevo questo messaggio da quattro, cinque allievi, verso i quali, in un qualche modo, deve essere scivolato il mio recapito. Non è una delle centinaia di domande più o meno tecniche che, di lì a poco, si sarebbero accodate sui mezzi informatici, ma un’iniziativa che comunica preoccupazione: tenere il contatto con la scuola a fronte della fragilizzazione del lavoro sancita dall’uso delle - pur ottime - piattaforme informatiche.

Il secondo quadro: piove. È il lunedì del primo rientro a scuola per la parziale ripresa del lavoro in presenza. Mi tocca svolgere il ruolo di sorvegliante a ricreazione e la scena è surreale: gli allievi sul piazzale sotto l’acqua sembrano funghetti, distanziati, le braccia lungo il corpo, si scrutano silenziosamente, con espressioni tra il mesto e lo stranito. Strano: la distanza, di primo acchito, inibisce anche la comunicazione con le parole, persino con l’espressione del volto e con i gesti. È strana questa scuola.

Terzo quadro: qui le parole non mancano; gli allievi, con un salto, si rammentano a vicenda di ricorrere ai pallini colorati che, sul pavimento del corridoio, aiutano a tenere le distanze. Chiacchierando, attendono il proprio turno d’entrata in aula, attingono al disinfettante senza più lamentarsi del suo orrido odore e poco dopo, nell’ora di classe, si lanciano con me in una discussione sugli «ostacoli» che prevedibilmente si focalizza sul periodo di quarantena: qualche fatica con la famiglia o con la solitudine, ma poi la fatica nel lavoro che, mancando del sostegno del gruppo e del docente in presenza, si è dovuto affidare a una forza di volontà e a una capacità di organizzazione che non sempre ci sono state e che non sempre forse, diciamolo, si possono chiedere a dei ragazzi. Il giudizio è condiviso: rieccoci a scuola, finalmente. Che affermazione densa. Da essa filtra tutta l’importanza di un diritto fondamentale del quale i minori, sì, sono titolari ma la cui garanzia sta a noi, adulti. La scuola! Che si è vista dover insegnare ciò che pareva impossibile: la distanza come unità; il non imprestare un cancellino come altruismo.

Non c’è forse luogo migliore per imparare anche questo, perché con ciò che appare «impossibile» - insegna Freud - la scuola ha a che fare quotidianamente; come relazioni personali e luogo fisico in cui imparare a fare qualcosa che non si sa fare, facendolo (Philippe Meirieu).

 

Raffaele Beretta Piccoli - Docente